È un teatro vivo, che scava nella memoria e nelle pieghe più cupe del desiderio, quello che dal 9 maggio va in scena al teatro Stabile di Catania, con “La Chunga” di Mario Vargas Llosa.
Una nuova produzione per la regia di Carlo Sciaccaluga, che prosegue a riscuotere successo di pubblico e critica, forte anche del valore simbolico: è la prima messa in scena postuma dell’autore, scomparso proprio durante le prove dello spettacolo.
Si chiude così, in un’atmosfera densa di emozione, la trilogia che lo Stabile ha voluto dedicare al Premio Nobel per la Letteratura 2010, dopo “I racconti della peste” e “Appuntamento a Londra”. Un percorso di profondo valore culturale che ha saputo restituire al pubblico la complessità poetica, politica e umana dello scrittore peruviano.
“La Chunga”, ispirata al romanzo La casa verde, ci trasporta nel Perù del dopoguerra, tra le luci torbide di un vecchio bar di Piura. Qui, Josefino – giocatore d’azzardo – perde tutto ai dadi, e offre in pegno la sua giovane e bellissima amante Meche alla padrona del locale, la misteriosa Chunga. Da quel momento, la notte e le sue ombre si allungano su una storia che vive di ricordi, menzogne e verità soggettive. Meche scompare, e gli uomini, anni dopo, tentano di ricostruire quella notte: ognuno con la propria verità. Nessuna certezza, solo il riverbero ambiguo del desiderio e del potere.
A guidare questo labirinto di parole e visioni è la regia lucida e tagliente di Carlo Sciaccaluga, che restituisce al testo tutta la sua carica ambigua e disturbante. Il bar diventa un non-luogo dell’anima, una bolla di tempo congelato dove si confrontano archetipi maschili e il silenzioso enigma del femminile. “La letteratura è sempre vera”, scrive Sciaccaluga nelle sue note. E ancora: “La narrazione crea verità. In scena, la Chunga non è solo una donna: è il riflesso inquietante del mistero che il maschile non riesce a decifrare”.
Tra gli interpreti principali, Francesco Foti dà corpo e anima a Josefino, uno dei personaggi più sfuggenti e fragili dell’opera, che abbiamo incontrato per un'intervista intima ed emozionante.
Francesco, chi è Josefino per te?
“Josefino è un uomo spezzato. Un debole che cerca di salvarsi nel gioco, nella fuga, nell’amore... e che finisce per distruggere ciò che ama. È un personaggio molto distante da me, che non puoi giudicare, solo cercare di capire, fatto di paure e tensioni molto umane”.
Hai interpretato molti ruoli importanti nella tua carriera. Dove si colloca questo?
“Tutti i miei personaggi sono figli miei. Josefino lo è quanto gli altri. Mi porto dietro ognuno di loro”.
Hai progetti imminenti?
“Sì, ho un progetto cinematografico a breve e altri in cantiere. Ma ora sono tutto dentro questa storia. Vargas Llosa non è uno che si dimentica facilmente.”
Accanto a Foti, in scena ci sono Debora Bernardi nei panni della Chunga, Francesca Osso (Meche), Valerio Santi (Lituma), Giovanni Arezzo (Scimmia) e Pietro Casano (José). Una compagnia intensa, che regala al pubblico una prova collettiva di alto livello.
Le luci evocative sono firmate da Giuseppe Filippo Bonaventura, i costumi sono di Alessandra Solimene e le scene sono state curate da Laura Benzi. La produzione è dello Stabile di Catania, che con questa nuova prova conferma la propria vocazione al teatro d’autore e alla sperimentazione drammaturgica di alto profilo.
“La Chunga” sarà in scena alla Sala Verga fino a domenica 18 maggio. Un’occasione preziosa per vivere un’esperienza teatrale intensa, profonda e disturbante. Come la grande letteratura sa essere.