Possibilmente in pochi conoscono il piccolo paesino di Delia, in provincia di Agrigento.
Delia è un paese di origini non molto antiche ma vanta tradizioni culinarie che la caratterizzano e la contraddistinguono. La Cuddireddra non è altro che una croccante ciambella di pasta fritta. La sua particolarità consiste nella forma a dir poco complessa da richiedere esperienza, passione e antichi strumenti (tramandati da generazioni).
Sul sito del comune, Angelo Carvello scrive una descrizione minuziosa del paese: “Delia è una delle città nuove di Sicilia, fondata nel 1597 dal barone Gaspare Lucchese. Sorge sul pendio del colle Monserrato che guarda Libeccio e tende ad estendersi verso oriente in una zona pianeggiante sottostante a due colli, denominati Monte Croce e Monte Comune. Per chi guarda da Monte Croce, Delia appare come un grande anfiteatro con una quinta scenografica che da destra inizia con le alture rocciose delle Madonie, continua nella zona centrale con Canicattì che sembra fare capolino dietro il castello, e Naro la cui antica fortezza si staglia all’orizzonte nei suoi pittoreschi contorni, e termina a sinistra con i colli antistanti Campobello, quelli che sovrastano la piana di Gela e quelli che scendono gradatamente verso il Salso”.
Delia è una meta che, gli amanti della Sicilia e dei viaggi, non possono mancare. Metà di interesse anche naturalistico, difatti il Laghetto di Giffarronema è punto interesse mentre, le tradizioni culinarie di Delia sono richiamo per gli amanti della cucina e non solo.
La Cuddrireddra è un dolce tipico di Delia; scopriamo perchè e comprendiamone il gusto!
Cuddrireddra prende il nome dal greco Kollura – focaccia – secondo quanto si narra sembrerebbe che venne inizialmente realizzato a forma di corona, come omaggio alle castellane che vivevano nella fortezza medioevale durante i Vespri Siciliani.
Servono pochi ingredienti per un impasto semplice caratterizzato da una pasta filante in cui, alla farina, si aggiunge la cannella e la scorza d’arancia. La pasta viene divisa in rotolini che, successivamente, vengono avvolti in un bastoncino. Qui la lavorazione inizia ad essere complessa ed allo stesso tempo caratteristica. Motivo per il quale, soltanto del donne del posto riescono a compiere. L’impasto viene poi sfilato e poggiato su “pettini” di antica fattura (costituiti da due asticelle di legno unite da una serie di striscioline di canna di bambù levigate. I pettini sono conservati con grande cura perché nessuno è più in grado di costruirli ed alcuni di quelli conservati hanno ben 150 anni) utilizzati per rigare l’impasto per poi comporre la corona.