
Nel cuore del Regno delle Due Sicilie, tra il XVIII e il XIX secolo, la pasticceria divenne un simbolo di eccellenza gastronomica e un tratto distintivo della cultura culinaria dell'epoca.
A dominare le cucine dei palazzi nobiliari non erano solo cuochi qualunque, ma i celebri monsù, maestri chef che unirono la tradizione siciliana e napoletana con influenze francesi, dando vita a un’epoca d’oro della pasticceria meridionale.
I monsù: ambasciatori di raffinatezza
Il termine monsù deriva dalla storpiatura del francese monsieur, a sottolineare il forte legame tra la cucina del Regno delle Due Sicilie e la gastronomia francese. I monsù erano spesso cuochi di origine francese, o comunque formati in Francia, portati a corte dalle nobili famiglie per arricchire il proprio prestigio e per dar prova di sfarzo e raffinatezza.
Questi maestri non erano semplici esecutori di ricette, bensì creatori, in grado di adattare e reinterpretare piatti in base ai gusti locali e agli ingredienti disponibili. Le loro creazioni spaziavano dai dolci più semplici a quelli più complessi, coinvolgendo frutta candita, cioccolato e spezie preziose, frutto delle relazioni commerciali con il Mediterraneo e con il resto d'Europa.
Le delizie dolciarie dell’epoca
Tra i dolci più iconici dell'epoca spiccano preparazioni che ancora oggi identificano la tradizione siciliana e campana. La cassata siciliana, ad esempio, è il risultato dell’incontro tra zucchero, ricotta e canditi, una combinazione che racchiude i sapori e le influenze arabe e normanne, ma rivisitata dai monsù con un tocco di eleganza e cura nella decorazione.
Altro fiore all’occhiello era il babà, il cui nome stesso rivela l’origine francese del dolce. Originariamente creato in Polonia e poi portato a Parigi, il babà fu introdotto a Napoli e divenne subito protagonista delle tavole aristocratiche, complice la sua struttura soffice e la capacità di assorbire il rum, che ne esaltava l’aroma.
Non mancano all’appello le celebri sfogliatelle, declinate in versione riccia e frolla, e i roccocò, biscotti speziati tipici delle festività natalizie. La loro nascita è legata a monasteri e conventi, ma furono i monsù a perfezionarne la preparazione, rendendoli simbolo della dolcezza partenopea.
Tradizione e innovazione: l’eredità dei monsù
Il lavoro dei monsù non si limitava alla cucina privata, ma influenzava anche la vita sociale e culturale delle città. Le loro creazioni divennero, infatti, protagoniste di banchetti sontuosi e di ricevimenti dove l’arte dolciaria si trasformava in esibizione di potere e di gusto. A loro si deve la nascita di molte delle pasticcerie storiche che ancora oggi costellano le strade di Napoli e Palermo, luoghi dove le antiche ricette vengono tramandate e rivisitate con rispetto per la tradizione.
La pasticceria del Regno delle Due Sicilie non fu solo un tripudio di sapori, ma un vero e proprio linguaggio di espressione culturale, in cui ogni dolce raccontava una storia di terre e popoli diversi, uniti dalla maestria dei monsù e dal desiderio di dolcezza.
Oggi, a distanza di secoli, la loro eredità vive ancora, preservata nelle vetrine delle pasticcerie storiche, dove ogni assaggio è un tuffo nel passato glorioso del Regno delle Due Sicilie.